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In Liguria, non c’è libertà senza fatica, né cammino senza sudore


“Ho sceso con te …almeno un milione di scale…” scriveva Eugenio Montale in una famosa poesia, di cui adesso intuisco meglio il significato, dopo aver salito e sceso molte scale, per percorrere a piedi tutte le Cinque Terre.
Da Portovenere a Levanto, e poi oltre fino a Moneglia, un intreccio di sentieri tra “Alta Via delle Cinque Terre” e “Via della Costa”.

Scalini e scalette, in pietra, in cemento, di legno…in qualsiasi materiale, ma sempre scale. Sembra ci sia stata una mano che ha disegnato percorsi in cui è vietata la dimensione piana. Non troviamo quasi mai una soluzione ai continui dislivelli da affrontare, con uno zaino troppo pesante per questo tipo di percorsi.
Il mare è là sotto, ti sembra di poterlo raggiungere con un tuffo, ma non è abbastanza vicino per poterlo fare davvero. Il panorama è splendido, il sole inizia a far le prove per l’imminente stagione estiva, sui sentieri incontriamo molti camminatori, anche se quasi tutti con zainetto in stile Disneystore, oppure in versione podista.
Si cammina spesso tra i filari delle viti, su piccoli terrazzamenti che si allungano sinuosi sul fianco dei colli, seguendone il contorno come una matita che tracci delle esse molto ampie. Un tempo doveva essere ancora più coltivato di adesso; e lo capiamo quando si vedono cespugli e piccoli alberi che hanno occupato lo spazio destinato alle viti, accanto a piccoli fabbricati in pietra oppure a casette ormai abbandonate e ti chiedi come potessero questi agricoltori arrivare fin lassù con gli attrezzi necessari.
Scendere a Manarola significa immergersi in questa dimensione agricola di grandi fatiche e piccoli gesti; le sue case, arrampicate una sopra l’altra, finiscono in un piccolo anfiteatro di scogli che ne rappresenta il porto. Dalla passeggiata soprastante si possono vedere i flutti del mare infrangersi sulle pareti rocciose a picco, con fragore e schiuma che ci ricorda quanto sia pericolosa la navigazione. Pensi a come potevano vivere i suoi abitanti prima dell’avvento del turismo.

L’indomani a Volastra, una leggera pioggia ci bagna, anche se non del tutto in accordo con l’atmosfera religiosa del santuario mariano che la caratterizza.
Verso Corniglia, ci si affaccia da uno di questi strapiombi e si vede una casetta più in basso, che sembra quella “dei doganieri” del nostro poeta, “sul rialzo a strapiombo sulla scogliera”… “Tu non ricordi; altro tempo frastorna la tua memoria”, quello presente, che non ha posto per la lentezza dei giorni passati quassù, a dissodare la terra dalle pietre scure che riempiono ogni anfratto di questi luoghi, come a non voler lasciare posto ad altro, neppure al desiderio di sopravvivenza dei suoi eroici abitanti.

A Vernazza c’è il festival del turista che impazza! Non riusciamo neppure a camminare per le viuzze del borgo, impossibile sedersi in un bar per riposare. Purtroppo il nostro aspetto un po’ provato contrasta con l’eleganza sportiva di certe signore… Incontriamo centinaia di persone sul sentiero n.2 (“la Via dell’amore”), fonte di grande introito per le amministrazioni locali, a dispetto di una manutenzione a dir poco penosa del sentiero. Ci vuole più tempo a scambiarsi con i viandanti che provengono dalla direzione opposta alla nostra, che a percorrere il tratto che ci porterà a Monterosso, chiusa alle spalle da un promontorio arduo da salire.

Levanto ci accoglie indolente come un paese di confine, ormai oltre le Cinque Terre, con un’ampia spiaggia adagiata sulla baia, sonnolenta come il cielo un po’ velato di nubi che ci sovrasta. Le costruzioni sono quasi tutte moderne e fanno pensare a posti come Follonica; niente a che vedere con i borghi finora incontrati.

Il giorno seguente, dopo una breve ascesa tra vialetti d’accesso a lussuose residenze, si scende a Bonassola, piccolo centro della Riviera di Levante, pieno di piante in fiore, con vialetti pedonali che passano tra i giardini delle case, fino ad arrivare al suo centro. Qui sostiamo in un bar, all’ombra di un pergolato naturale di platani che crea uno scorcio ideale per il riposo.

A Framura, che vediamo solo dall’alto, lo scoglio di Ciamia ripete il carattere aspro della costa ligure, con la sua Madonnina che ci indica il porticciolo con le barche a remi in placida sosta in uno specchio d’acqua limpida, quasi trasparente. Più avanti si vede la stazione ferroviaria, dall’alto come da un drone, un breve tratto di binari che sfugge al suo percorso in gran parte nascosto in galleria, come nel resto delle Cinque Terre. Noi proseguiamo in salita per Anzo e Setta, due piccoli borghi aggrappati ai colli, di case antiche e ristrutturate, con una vecchia colonia di stile fascista in rovina. Nell’unico punto di ristoro aperto, le facce sono distese, i gestori sorridono al transito, per loro importante, di tutta quella gente camminante.

Nel bosco che incontriamo poco oltre ci sembra di essere a casa, a parte il mare là sotto, perché la vegetazione, tipica macchia mediterranea e pini marittimi, ricorda molto Pietramarina.
A Deiva Marina si arriva dopo una ripidissima discesa su sentiero roccioso e, nonostante le sue diverse opportunità turistiche, non merita che una breve sosta per reintegrare liquidi e recuperare un po’ di forze per l’ultima salita della giornata, verso Moneglia.
Solo pochi minuti d’auto ci separano da lì, ma la strada è una galleria pressoché ininterrotta e riservata esclusivamente ai mezzi a motore. A noi serviranno ancora due ore e mezza, prima di strada cementata quasi verticale e poi di sentiero in mezzo alla macchia mediterranea da cui si sbuca solo in vista di Lemeglio, piccolo agglomerato con una chiesa a facciata in marmo policromo.
Ormai siamo discesi fino a Moneglia ed è ora di riprendere la via del ritorno.

“…Sballottati come l’ossio di seppia.
Dalle ondate svanire a poco a poco; diventare
un albero rugoso
o una pietra
levigata dal mare; nei colori confondersi
di tramonti; sparir carne per spicciar
sorgente ebbra
di sole, dal sole divorata”. (E. Montale)


Portovenere – Moneglia: Km percorsi circa 75. Tempo impiegato: 24 ore circa, al netto delle soste.
Grazie a chi ha reso possibile questo progetto: a Claudio, Luigi e Stefania.

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