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Ho incontrato il Bianconiglio nel bosco incantato dei Monti Liguri



Questa storia inizia dall’incontro con il Bianconiglio… (sì, propro lui, il coniglio di Alice nel Paese delle Meraviglie), che, tutto trafelato, si precipitava giù per una breve scesa superandoci nei pressi della Sella Burain, in mezzo al bosco, soffermandosi appena a salutarci.
“Ehilà, sapete per caso com’è il sentiero verso Montenotte?”- ci apostrofò.
“No, anche noi andiamo in quella direzione…finora abbiamo trovato un po’ di tronchi caduti, ma per fortuna si passa!” - rispondemmo.
“Ah, vero! Beh, grazie lo stesso, ma sapete…ho un po’ fretta! Bello il vostro modo di parlare! Di dove siete?”
“Siamo della Toscana…di Empoli!”
“Ah..non ci sono mai stato,  ma mi piace! Ciao ciao!!”
E in un battito di ciglia era già cinquanta metri avanti a noi in salita, arrancando tra le radici della faggeta coperte da un tappeto di foglie rossastre che ci nascondeva, insieme ad un po’ di foschia, la cima del Bric Sportiole.
Dopo qualche minuto, non lo abbiamo più visto…dileguato nel bosco.
Pare dovesse andare ad un matrimonio…non il Royal Wedding, certo, ma si intuiva che era diretto ad un luogo dove è naturale si celebrino dei riti: Altare. Nessun posto migliore per convolare a nozze.
Il nostro Bianconiglio aveva un certo grado di trasandatezza nel vestire, che, pur nello spirito spartano del pellegrino, trasmetteva un senso di precarietà, di approssimazione nel suo equipaggiamento, che di sicuro lo doveva favorire nel passo veloce, ma lasciava intuire una certa estemporaneità nelle scelte.
E noi…dietro a lui, affrettando il passo, nella speranza di accorciare i tempi, che prevedevamo lunghi, di quella tappa, l’ultima del giro programmato, ormai fino all’estremo limite appenninico del Colle di Cadibona.
Eravamo già in cammino da tre giorni, trascorsi sui saliscendi dell’Alta Via dei Monti Liguri, dalle alture che sovrastano Genova e i suoi intrecci autostradali, verso quello che su tutti i nostri libri di scuola avevamo imparato essere l’inizio degli Appennini.
Quello che non avevamo previsto del tutto, ma soltanto presagito da alcuni discorsi, era l’immensa quantità di tronchi di alberi caduti sul sentiero… da lì in poi è stato un continuo ostacolo al nostro passaggio, se si eccettua un breve tratto di strada sterrata di servizio ad alcune torri eoliche, che con le loro pale giganti, a me fanno sempre venire in mente Don Chisciotte che lotta coi mulini a vento credendoli dei giganti.
Gli infiniti tronchi (come quelli della canzone di De Gregori “Sotto le stelle del Messico a trapanar”) avevano invaso tutti i tratti che dovevamo discendere, fino a Le Meugge, col suo tetro monumento all’eternit (l’ex rifugio-bar completamente inscatolato con i pannelli, non quello che ricorda le battaglie di Napoleone).
Poi ci avrebbero ancora ostruito la via fino ad Altare, dove siamo arrivati troppo tardi per assistere al matrimonio a cui era invitato il Bianconiglio.
Ancora le favole erano le protagoniste, sembrava di essere nella foresta di spine della Bella Addormentata nel Bosco, impenetrabile a chiunque… ed il bello è che non c’era nessuna Principessa da risvegliare.  Al massimo, qualcuno di noi da rianimare, dopo le fatiche immani spese per l’inutile periplo della Riserva naturalistica dell’Adelasia. Chilometri di bosco, invaso dai tronchi caduti, sotto una fine pioggia continua, con quelle indicazioni tipiche del romanzo di Lewis Carroll come “perdiqua” o “perdilà”. Ci mancava solo spuntassero i gemelli Pinco Panco e Panco Pinco o il Brucaliffo a rendere ancora più complicato il giro.
Ma forse sono soltanto io che, colpito dalla bellezza dei luoghi, ho avuto delle visioni, ho immaginato un bosco fatato dal quale rischiavo di non uscire più.
Sarò mica il Cappellaio Matto ?

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