Che
cos’hanno in comune Glenn Gould e Roger Federer? Probabilmente quasi nulla, se
non la caratteristica fondamentale di essere, o essere stati, in simbiosi con la
Perfezione assoluta.
Ricordo
di aver letto qualche tempo fa il libro “Il soccombente” di Thomas Bernhard in
cui i protagonisti sono l’autore stesso ed il compagno di studi pianistici
Wertheimer, che hanno la (s)fortuna di incontrare sulla loro strada nientemeno
che Glenn Gould, un ragazzone canadese che suona da dio le Variazioni Goldberg
e L’Arte della Fuga di Bach. Suonava così bene, già al corso di perfezionamento
a Salisburgo con Horowitz (“meglio di Horowitz stesso”), che in realtà non
aveva bisogno di alcun perfezionamento.
Scrive Bernhard: “Probabilmente,
se non avessi conosciuto Glenn Gould, non avrei abbandonato il pianoforte e
sarei diventato un virtuoso del pianoforte, forse addirittura uno dei migliori
virtuosi del mondo, pensai nella locanda. Se incontriamo il primo di tutti,
dobbiamo rinunciare, pensai.”
Gould
suonava solo Bach, tutto il resto era come se non esistesse. Eseguiva le
Variazioni Goldberg ad una velocità pazzesca: le Variatio 1 e 2 sono dei
capolavori a se stanti, una cascata di suoni saettanti, come fossero avulsi dal
tema dell’Aria, così grave e solenne, ancora più esasperata, se possibile,
dall’esecuzione gouldiana.
I due
compagni di corso sono annichiliti dal talento del canadese:
“Mio caro soccombente, fu il saluto di
Glenn a Wertheimer, con tipico sangue freddo americano-canadese Glenn sempre
aveva definito Wertheimer come soccombente, riservando a me un semplice e secco
filosofo, che mi lasciava del tutto indifferente.”
Il
libro inizia con una definizione di fallimento:
“Un suicidio lungamente premeditato, pensai,
non un atto repentino di disperazione. Anche Glenn Gould, il nostro amico e il
più importante virtuoso del pianoforte di questo secolo, è arrivato soltanto a
cinquantun anni, pensai mentre entravo nella locanda.
Solo che non si è tolto la vita come
Wertheimer, ma è morto, come si suoI dire, di morte naturale.”
In
realtà i suicidi in quest’opera sono due: il primo, quello fisico, da parte di
Wertheimer, che si toglie la vita per non poter essere in grado di suonare il
pianoforte dopo aver ascoltato Gould; il secondo, quello artistico, dell’autore
del libro, che, anche lui vinto dall’impossibilità di competere con l’arte del
canadese, regala il suo Steinway ad una bambina di 9 anni, figlia di un
insegnante di una cittadina austriaca.
“Non Horowitz, pensai, ma Glenn aveva ucciso
sia in me sia in Wertheimer tutto ciò che aveva a che fare col virtuosismo
pianistico e, in definitiva, con la musica in generale. Glenn ci ha reso
impossibile il virtuosismo pianistico in un'epoca nella quale noi due credevamo
ancora fermamente nel nostro virtuosismo pianistico.”
Come non
pensare ad un'altra fine, ad un altro suicidio, molto probabilmente anch’esso a
lungo premeditato, quello di David Foster Wallace, grande scrittore americano
della nuova generazione (quasi mio coetaneo).
DFW è
morto suicida, impiccato come Wertheimer. Un suicidio annunciato, hanno detto,
probabilmente prevedibile, come quello di Wertheimer che, come ha scritto
Bernhard, non poteva sopportare l’idea di aver perso Glenn Gould, colui che lo
aveva già fatto soccombere una volta.
Wallace
è l’autore di un libro, divenuto recentemente famoso, intitolato “Roger Federer
as Religiuos Experience”, nato da un reportage da lui scritto sul campione
elvetico nell’agosto del 2006. In questo articolo, DFW crea il concetto di
“Federer moments”, cioè di quei momenti in cui:
“…la mascella scende giù, gli occhi si
proiettano in avanti ed emetti suoni che inducono il coniuge nell’altra stanza
a venire a vedere se ti è successo qualcosa” e che sono “ancora più intensi se hai abbastanza esperienza diretta di gioco da
comprendere l’impossibilità di quanto gli hai appena visto fare”.
Anche
Roger, come Glenn, esegue i suoi pezzi ad una velocità impressionante,
impossibile anche per i suoi colleghi più bravi. Per lui il tempo di gioco si
dilata in un lampo sospeso in cui trova il modo di posizionarsi ed eseguire il
colpo con la maggior precisione e forza possibile, tale da non lasciare scampo
a nessuno.
La
spiegazione delle abilità di RF come attributi metafisici che ci ha dato DFW,
ricorda molto da vicino certe descrizioni di carattere mistico-filosofico di
tradizione europea, che non ti aspetteresti da un americano postmoderno.
È l’antico
dilemma tra Forza e Debolezza, tra Perfezione ed Imperfezione, tra Vittoria e
Sconfitta che si ripropone. Ma se per Wertheimer e DFW è chiaro ciò che ha
prevalso, non altrettanto lo è per Gould, che comunque si era ritirato
precocemente dall’attività concertistica per esibirsi di fronte a se stesso,
nella sua casa americana, lasciando solo alle registrazioni su disco i contatti
con l’esterno. E’ come se si fosse ribellato alla Bellezza assoluta della sua
Arte, che gli aveva permesso di essere il “numero uno” dei virtuosi del
pianoforte. Un isolamento che prelude comunque ad una fine prematura.
Ancora
di Gould ci dice Bernhard: “Glenn, che ancora oggi tutti credono
fosse un uomo di debolissima costituzione, era invece un tipo atletico.
Raggricciato sulla tastiera dello Steinway, sembrava uno storpio, ed è così che
lo conosce tutto il mondo musicale, ma questo mondo è stato vittima di un
inganno totale, pensai. Sempre e dovunque Glenn è rappresentato come uno
storpio e come un debole, come l'uomo tutto spirito per eccellenza, al quale
non si può attribuire altro che la deformità e con questa deformità, poiché con
essa fa tutt'uno, una grande ipersensibilità, mentre Glenn in effetti era un
tipo atletico, assai più forte di Wertheimer e di me messi insieme”. Ma questo non bastò a
proteggerlo da un ictus fulminante che lo colpì mentre suonava Bach.
Roger,
in questo, non gli assomiglia (per nostra fortuna). Anzi, perfetto nel suo
stile, sembra che si diverta ancora ad inventare nuovi colpi, sempre più
sensazionali, nuovi “Federer moments” per estasiare gli appassionati. Ad un’età
in cui molti suoi colleghi cominciano a pensare al ritiro, lui è ancora nel
pieno della sua vita agonistica. La demivolee, colpo prettamente difensivo, che
diventa una nuova arma per sorprendere l’avversario sulla risposta alla seconda
di servizio, non è che l’ultimo esempio della sua Arte.
In
un’intervista rilasciata alla stampa, Roger ricorda come sia importante l'amore
per la letteratura di David Foster Wallace, lo scrittore americano suicidatosi
di recente: "Ho fatto con lui a
Wimbledon un'intervista di mezz'ora, una delle più strane che abbia mai fatto.
Mentre me ne andavo ero lì che mi chiedevo ancora di cosa avessimo parlato. Mi
ha molto colpito il suo suicidio. Spero, sono sicuro che non sia stato a causa
mia... Artisti come lui hanno ideali di un livello troppo alto, che spesso non
reggono, purtroppo, il confronto con la vita. Lui ha scritto un saggio
meraviglioso su di me. Anche grazie a lui il mondo è per me un posto migliore".
O come le paure: "Mi fa paura l'idea di paracadutarmi nel vuoto. E poi ho terrore dei serpenti e dei ragni". "La musica è importante. Mi piace ascoltarla, specie quando guido. Da ragazzo suonavo il pianoforte.”
O come le paure: "Mi fa paura l'idea di paracadutarmi nel vuoto. E poi ho terrore dei serpenti e dei ragni". "La musica è importante. Mi piace ascoltarla, specie quando guido. Da ragazzo suonavo il pianoforte.”
RF
cambia lo stile delle sue interpretazioni tennistiche come fossero delle
Variazioni sul tema di un’aria. I suoi colpi escono con un’imprevedibilità
assoluta, sottratti alle leggi della fisica. Però nella musica di RF c’è molto
più Mozart che Bach. Forse è qui la risposta alla diversità delle storie che
abbiamo finora intrecciato.
Alla
fine, si potrebbe azzardare un’espressione matematica, che si adatterebbe al
tema della nostra dissertazione su questi personaggi, di cui RF è l’unico
rappresentante ancora vivente:
Wertheimer (e il “filosofo”
Bernhard) stanno a Glenn Gould, come David Foster Wallace sta a Roger Federer.
Che
sia stato anche Wallace un filosofico “soccombente”? Sicuramente la sensibilità
di entrambi i suicidi li ha resi impotenti di fronte all’inafferrabile
Perfezione; troppo vulnerabili alla sua estrema prorompenza, ne sono stati
travolti.
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